giovedì 16 ottobre 2014

I LIBRI "TERRIBILI" DI ARMIN GREDER


«In un mondo di pubblicità e di imbonimento, di menzogne non di rado confortate da cultura e da ingegnosa malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non essere strumenti di incomprensibili, o fittizie battaglie, 
sta nella nostra esperienza di noi stessi, 
della vastità e della drammaticità della sorte dell'uomo.

Da questo punto di vista, non vi sono libri innocui,
 e non v'è cultura "che non fa male a nessuno" e rende migliori. 
Un grande libro è terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai; 
e sarà la storia della nostra libertà» 

- GIORGIO MANGANELLI -





Armin Greder è fumettista, graphic designer e illustratore. 

«Sono nato nel 1942 in Svizzera, in una piccola città in cui i nomi delle strade sono scritti in tedesco e in francese, e dove non sai quale delle due lingue usare per rivolgerti a chi sta dietro al bancone del negozio. A scuola la mia materia preferita era educazione artistica, fino a quando non hanno cominciato a dirmi come dovevo disegnare. Poi c’era ginnastica, perché eri autorizzato a gridare giocando a pallone. A scuola nessuno mi ha insegnato a scrivere, ma solo come detestare la grammatica. E la poesia era qualcosa quasi senza senso, di solito era lunga e da imparare a memoria. Solo più tardi, quando ho disimparato abbastanza, ho capito che la lingua non è il suono che fai quando parli, ma qualcosa che rende tangibili i tuoi pensieri».  A. G.

Emigrato in Australia nel 1971, ha insegnato design e illustrazione al Queensland College of Art. Al suo lavoro sono state dedicate numerose mostre personali e collettive dalla Germania fino al Giappone. Nel 1996, ha ricevuto il Bologna Ragazzi Award e l’IBBY Honour List con The Great Bear di Libby Gleeson (Scholastic Press). Con Libby Gleeson ha pubblicato anche Big dog (1991), Sleep time (1993), The princess and the perfect dish (1995) e An ordinary day (2001). The Insel (L’isola, traduzione di Alessandro Baricco, Orecchio acerbo, 2008) pubblicato da Sauerländer nel 2002, è il libro di cui per la prima volta è anche autore dei testi. Tradotto in moltissime lingue, The Insel ha ricevuto premi in tutto il mondo, fra cui il Goldener Apfel/Golden alla Biennale di Illustrazione di Bratislava del 2003. A L'Isola, hanno fatto seguito La città (tradotto sempre da Alessandro Baricco e uscito in anteprima internazionale in Italia per orecchio acerbo, 2009), e Gli stranieri (traduzione Rosa Chefiuta & Co, Orecchio acerbo, 2012). 
Esce oggi WORK. Il lavoro dalla A alla Z, il suo ultimo libro edito da Orecchio acerboELSE Edizioni Libri Serigrafici  E altro (qui in Gavroche). Ora vive a Lima, in Perù, insieme alla sua compagna Victoria.

Questa sera Armin Greder sarà l'ospite d'onore del Salone dell'editoria sociale di Roma - da oggi fino al 19 ottobre - (qui in Gavroche).  L’iniziativa promossa dalle Edizioni dell’asino, dalla rivista "Lo Straniero", dalle associazioni Gli Asini e Lunaria, in collaborazione con Redattore sociale e Comunità di Capodarco, ha scelto come tema della sua sesta edizione “L’Europa in cammino”.

Presso la sala B del Salone e dalle ore 21.00 alle ore 23.00, il pubblico avrà l'occasione di mettersi in dialogo con l'artista nel corso dell'incontro "(In)Coscienza d'Europa", incontro al quale parteciperanno anche il critico letterario Goffredo Fofi, l'editrice Fausta Orecchio, i giornalisti Alessandro Leogrande e Eric Salerno e che sarà animato dalla riflessione su una selezione dei suoi albi, L'isola, Gli Stranieri e, in anteprima, WORK. Il lavoro dalla A alla Z.




 

I libri di Armin Garder sono libri che fanno male, quelli che Manganelli ha riconosciuto come  terribili. Quelli con cui, una volta letti, non smettiamo di combattere.
Parlano di noi, dei luoghi oscuri che da sempre accompagnano la storia dell'uomo e delle nostre inadeguatezze, miserie, piccolezze, contemporanee; di quanto ancora oggi preferiamo ciecamente costruire muri piuttosto che ponti con l'oltre a l'altro da noi.

Parlano di temi universali, senza sconti, i libri di Armin Greder, concedendoci l'occasione di guardare, attraverso lo sguardo della sua poetica, in faccia la verità delle cose senza i veli dell'ipocrisia, senza concessioni, rassicurazioni e finali lieti. Ci impone di guardare la noi stessi e la realtà come se fosse la prima volta.

Lui con noi, titolo dopo titolo, pagina dopo pagina, ci accompagna sull'orlo dell'abisso di quella "disumana umanità" di cui ancora oggi non siamo stati capaci di, meglio, non abbiamo voluto,  sbarazzarci. Poi, lui fa un passo indietro, lasciandoci lì, con il solo ausilio delle sue parole, dei suoi disegni, a sostenerci, a guidarci, in quello che sarà un viaggio di iniziazione dal quale torneremo profondamente cambiati. Quasi fosse l'ultima possibilità che ci viene concessa per non sprofondare in quell'abisso, lasciando a noi il compito di trovare le soluzioni.

«Ognuno è responsabile dei propri comportamenti. Non credo nelle leggi». A.G.


Come i suoi artisti di riferimento, Goya, Käthe Kollwitz e Honoré Daumier, Armin Greder presta il suo talento alla denuncia delle ingiustizie sociali, della tracotanza del potere e dell'annientamento dell'essere umano per sua mano, della nostra incapacità di vedere, prevedere, distaccarci dal branco e agire. Della nostra pericolosa indifferenza verso ciò che accade, vicino e lontano, che sempre e più di quanto immaginiamo ci coinvolge. 
E, nel farlo, si pone dalla parte del più debole. 

I libri che escono dalle sua mani divengono propri e veri manifesti che chiedono al lettore di decidere di chiamarsi dentro o fuori dalla storia. 

Le sue parole, le sua tavole, essenziali, lucide, nitide, perfette e al contempo dense, portatrici di pesanti significati, sembrano, più di tutto, fare eco alla forza visionaria sprigionata dalle sculture e dalle opere pittoriche di Käthe Kollwitz.

Parla di immigrazione, dell'incapacità dell'essere umano di riconoscere la sua stessa vita nell'altro tanto da temerlo e maltrattarlo nel più atroce e umiliante dei modi. Tanto da  innalzare muri, di protezione, di insensibilità, di incomprensione, così da alti da essere certi e felici della loro invalicabilità. 

Senza rendersi conto che quei rassicuranti muri, un giorno diverranno una gabbia da cui non si riuscirà più ad uscire.

«Sono contro la monocultura. Nelle piante genera infestazioni di insetti, nelle persone genera ignoranza. Quanto più sventolano le bandiere, tanto più temo il patriottismo, perché non è troppo lontano dal nazionalismo». A.G.


Armin Greder, L'ISOLA,
traduzione di Alessandro Baricco,
Orecchio acerbo, Roma, 2008

«Un mattino gli abitanti dell'isola trovarono un uomo sulla spiaggia
là dove le correnti e il destino avevano spinto la sua zattera.
L'uomo li vide e si alzò in piedi.

Non era come loro.»



Un uomo sulla spiaggia di un'isola. Solo, sfinito, nudo. Anche così però, incute paura agli abitanti.


Armin Greder, L'ISOLA,
traduzione di Alessandro Baricco,
Orecchio acerbo, Roma, 2008


Tuttavia lo raccolgono, lo chiudono in un vecchio ovile abbandonato, e tornano alla vita di tutti i giorni.


Armin Greder, L'ISOLA,
traduzione di Alessandro Baricco,
Orecchio acerbo, Roma, 2008


Ma l'uomo ha fame, chiede cibo. Ormai la paura serpeggia. Lo straniero genera inquietudine. 


Armin Greder, L'ISOLA,
traduzione di Alessandro Baricco,
Orecchio acerbo, Roma, 2008


E così gli abitanti decidono di sbarazzarsene. E di costruire un grande muro tutt'intorno all'isola per impedire che mai più uno straniero vi metta piede. 


Armin Greder, L'ISOLA,
traduzione di Alessandro Baricco,
Orecchio acerbo, Roma, 2008


Sì, parla di muri, Armin Greder, anche nel libro Gli stranieri, di quelli innalzati per proteggere una terra che con la forza  si è voluta strappare a chi, in quei luoghi, aveva già seppellito i propri da tempo immemore e che da allora aveva continuato ad averne cura, ad abitarla, a calpestarla ogni giorno, tanto da poterla chiamare, propria. Il riferimento qui, anche se non è mai nominato, è al conflitto tra il gli israeliani e il popolo palestinese, un popolo il cui dramma, da oltre sessant'anni, non ha mia finito di essere attuale.

L'ultimo a cui abbiamo assistito, l'appena conclusasi operazione "Margine protettivo". Questo è il nome scelto per chiamare l'ultima guerra, durata 50 giorni e terminata il 27 agosto, con la firma del cessate il fuoco. Israele ha lanciato migliaia di raid aerei su quelli che definiva obiettivi di Hamas, in realtà però colpendo molti edifici civili. Oltre 2.100 le vittime palestinesi, 72 i morti israeliani di cui 66 soldati. 
Il 12 ottobre si è tenuta al Cairo la conferenza sulla Palestina e la ricostruzione di Gaza, co-presieduta dall'Italia. Conferenza che per la ricostruzione che ormai si tiene ogni due anni, dopo le continue distruzioni. I danni stimati, secondo le Nazioni Unite, sono questi: quasi 100mila unità abitative sono state distrutte o danneggiate. Oltre 100mila persone sono ancora sfollate. Tra loro 57mila vivono in rifugi comuni, tra cui le scuole gestite dall'Onu, e 47mila da famiglie ospitanti. Oltre mille imprese industriali sono state costrette a chiudere perché distrutte o danneggiate. Stessa sorte per oltre 4.200 negozi e altre imprese commerciali. Oltre due dozzine di pozzi per l'acqua sono stati danneggiati. Quasi 50 chilometri di rete idrica e oltre 17 chilometri di tubazioni di scarico sono stati distrutti. Danneggiata da un raid anche l'unica centrale elettrica di Gaza. Ancora 2,5 milioni di tonnellate di macerie devono essere rimosse.


Armin Greder, GLI STRANIERI,
traduzione Rosa Chefiuta & Co.,
Orecchio acerbo, Roma, 2012


«Era una terra si sabbia e pietre e poco altro.
Ma era la patria di un popolo.

Su questa terra la gente si occupava
delle proprie capre
e aspettava il maturare delle olive
e la sera i vecchi raccontavano
le loro storie ai giovani,
così che potessero ricordare chi erano.»


Un antico paese, coltivato a ulivi, e a sassi. Casa di un popolo antico. Un giorno, arrivano gli Stranieri. Di quella terra - abitata dai padri dei loro padri - rivendicano l’eredità. Cacciati e sparsi in tutto il mondo, oppressi e perseguitati per secoli, dopo aver tanto sofferto hanno deciso di ritornare. E, anno dopo anno, tornano sempre più numerosi.  


Armin Greder, GLI STRANIERI,
traduzione Rosa Chefiuta & Co.,
orecchio acerbo, Roma, 2012


E i vecchi abitanti sono costretti a lasciare la loro terra e le loro case. 
A lasciare tutto.


Armin Greder, GLI STRANIERI,
traduzione Rosa Chefiuta & Co.,
orecchio acerbo, Roma, 2012


Un unico paese, per due popoli. 
Una guerra che li sfianca, e che impedisce di vedere i tratti comuni. 


Armin Greder, GLI STRANIERI,
traduzione Rosa Chefiuta & Co.,
Orecchio acerbo, Roma, 2012


E poi un muro che li divide.


Armin Greder, GLI STRANIERI,
traduzione Rosa Chefiuta & Co.,
Orecchio acerbo, Roma, 2012


Nel suo ultimo libro, WORK, che mi ha offerto l'occasione per questa intervista, Armin Greder ha cercato, invece, di mostrarci un altro muro, questa volta invisibile, posto tra il tempo passato e quello presente, affrontando una delle tematiche più attuali e urgente di oggi, il mondo del lavoro.


Armin Greder, WORK. Il lavoro dalla A alla Z,
postfazione di Goffredo Fofi,
Orecchio acerbo/ELSE Libri Serigrafici E altro,
Roma, 16 OTTOBRE 2014


«Armin Greder dopo averci dato almeno tre capolavori del disegno che scruta e 'legge', interpreta e illumina, temi centrali di oggi e alcuni a temi di sempre (L’isolaGli stranieriLa città) affronta ora il mondo contemporaneo, quello che ci appartiene o, meglio, a cui apparteniamo, e lo fa sotto il profilo della mutazione più radicale di tutte, che è pur sempre quella dell’economia.
E dunque del lavoro, dei modi di guadagnarsi la vita, perché, sì, la vita deve sempre guadagnarsela chi non appartiene alla piccolissima cerchia degli eletti, anche nella new economy e nelle sue invenzioni e illusioni». Goffredo Fofi, "Postfazione" in WORK.


Di questi tre libri, si parlerà nel corso dell'incontro di stasera al Salone dell'editoria sociale.

Tre strade diverse, tre momenti della nostra storia, tre condizioni che dicono della complessità della vita, delle vite degli uomini e delle donne, che lascerò sia Armin a raccontarvi.

G. L'isola è stato il debutto come autore totale dei tuoi libri. Era il 2002 quando sentimmo tra quelle pagine il grido forte, acuto contro l'intolleranza. Racconti in un'intervista che quando iniziasti a lavorare al libro, lo facesti pensando alla Svizzera, ma mentre era in corso d'opera ci furono altri importanti accadimenti di cui dovesti tenere conto, il caso del cargo Tampa in Australia e l'attacco alle Torri Gemelle di New York City, con il conseguente dilagarsi nel mondo di episodi di xenofobia nei confronti degli immigrati mussulmani. Sono passati molti anni, ma sembra nulla sia cambiato. Ogni giorno, siamo pronti a innalzare nuovi muri. Se dovessi pensare oggi a pubblicare una nuova Isola chi scaccerebbero, oggi, gli abitanti? 
A. G. Gli eventi accaduti dopo che ho scritto L’isola hanno certamente polarizzato i fronti e hanno aggravato la situazione, ma il problema è rimasto fondamentalmente lo stesso, quindi non riesco a pensare a un sequel. Se lo facessi oggi, diversi ma sempre gli stessi sarebbero gli abitanti, che nello stesso modo scaccerebbero un rifugiato che è sempre lo stesso: per come l’ho disegnato, per me rappresenta esattamente il rifugiato universale. È umano come loro, come gli abitanti. Sostituirlo con un africano, per esempio, rischierebbe di ridurre una parabola universale a una disputa sui rapporti razziali.
Sí, in effetti ho pensato alla Svizzera quando ho scritto L’isola, ma era il problema generale che volevo denunciare. Certo, ci sono riferimenti svizzeri nelle immagini, ma non impediscono alla storia di essere universalmente applicabile. Anche gli svizzeri, in fin dei conti, non sono diversi. Sono umani come noi.
G.  Nel libro denunci il fatto che gli immigrati, nella migliore delle ipotesi, vengono assimilati a mai accolti fino in fondo, è ancora lontana la prospettiva di una piena condivisione di vita con loro. Il solo fatto che siano arrivati sull'isola, genera tra gli abitanti tale sgomento a ansia da sfociare in una paura incontrollata. Il pensiero che lo straniero abiti lo stesso luogo, a un passo dalle loro case, non gli permette di vivere come prima. Cosa fa sì che un artista decida di di lavorare per provare a cambiare questo pensiero?
A. G. L'isola nasce da una realtà che si è sviluppata nel corso degli anni. Vuole essere una parabola che condensa quella realtà in ventotto pagine, e in quella parabola io sottolineo gli estremi per illustrare la media. L'obiettivo non è offrire soluzioni, ma denunciare condizioni per me intollerabili. Forse non è molto, ma mi conforta notare che il libro è stato ampiamente utilizzato dagli insegnanti nelle scuole per affrontare il problema e che può quindi contribuire a una soluzione.
G.  Sempre ne L'isola, come ne Gli Stranieri, nei tuoi libri, trovano ordine i pensieri confusi e fuorviati di una società introversa e insicura. Sei riuscito a dar forma a quell'inconoscibile che pone l'essere umano di fronte alla domanda sull'identità di sé e la definizione del sul essere nel mondo. A quali scelte stilistiche ti sei affidato per creare a condensare questi temi universali in una perfetta fusione tra parole e immagini?
A. G. Ognuno di noi opera con gli strumenti del proprio campo di lavoro. Per me, nel corso del tempo, quel campo è diventato il linguaggio visuale, e conseguentemente, il rapporto tra testo e immagini - su questo ho imparato molto insegnando illustrazione in una scuola d'arte -. Quindi il problema della sintesi di cui parli mi interessa di per sé, e diventa la sfida principale nella conversione di un concetto in qualcosa di tangibile, e conciso. Così, per me il lavoro diventa un gioco, perché non si fa per la ricompensa, ma per l'emozione intrinseca di farlo. E se davvero sono riuscito “a condensare questi temi universali in una perfetta fusione tra parole e immagini” come tu dici, è perché ho ​​potuto giocare in questo modo per un periodo di tempo molto lungo, che è senza dubbio un privilegio.
G«Gli stranieri avevano il potere, adesso, ma loro avevano il tempo. E sapevano anche che questo muro, come tutti gli altri muri prima di lui, sarebbe alla fine crollato, perché un giorno gli stranieri avrebbero capito. [...]», si legge nelle ultime pagine de Gli stranieri. Alla luce degli ultimi avvenimenti, di quella che a tutti gli effetti è stata riconosciuta come una guerra tra Israele e Gaza, pensi ancora che gli stranieri potranno, che noi potremo, un giorno ascoltare, capire le istanze dell'altro? 
 A. G. È davvero difficile a volte rimanere impassibili di fronte a ciò che avviene in Palestina. Nel mio testo originale - in inglese - il libro si chiudeva così: "...perché un giorno gli stranieri se ne sarebbero andati". Ad avermi dettato quelle parole erano state le mie emozioni, non il mio pensiero razionale. È stato Paolo Cesari che mi ha salvato e che mi ha fatto capire. Che ci piaccia o no, Israele è un fatto. Quindi, la soluzione non sta nella scomparsa di Israele, ma in un compromesso tra i due fronti.
 G. Questa sera sai l'ospite d'onore della sesta edizione del Salone dell'editoria sociale di Roma. Il titolo del tuo incontro è "(In)Coscienza d'Europa". Per coscienza dovrebbe intendersi "la consapevolezza che il soggetto ha di sé e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e dell'insieme delle proprie attività interiori", nella definizione da dizionario. Quale cammino cosciente dovrebbe intraprendere, secondo te, oggi un cittadino per potersi definire europeo?
A. G. Sono nato in Svizzera, ho vissuto per quarant’anni in Australia, e ora vivo in Perù insieme con Victoria, la mia compagna peruviana. Non bastassero i tre continenti, continuo a viaggiare per il mondo, probabile conseguenza di tutti quei libri su spedizioni e viaggi che mia madre mi portava incessantemente dalla biblioteca quando ero bambino. Questo mi ha forse permesso di avere una prospettiva più ampia sugli immigrati. Ecco, io credo proprio che, per diventare un buon europeo, sia necessario andare in giro per il mondo, per essere in grado di capirlo, il mondo, quando questo arriva in Europa.
GIl tuo ultimo libro, WORK, in uscita oggi, è una sorta di alfabeto temporale dove trovano collocazione le professioni di ieri e di oggi. Dove trova occasione di ampliarsi la riflessione tra ciò che si è e ciò che si fa tra identità, sostanza e apparenza. Per questo libro, hai trascorso un periodo di residenza in Italia, nel momento in cui questo tema è l'argomento di dibattiti particolarmente accesi. L'Italia è l'unica Repubblica democratica al mondo che ha espresso nel primo articolo della Costituzione, il suo fondarsi sul lavoro. Il lavoro, quindi, non solo visto come un rapporto meramente economico, ma come valore sociale che nobilita l'uomo; un diritto ma anche un dovere che eleva il singolo. Principi che, in un certo senso, mi sono sembrati presenti anche nel tuo libro... che idea ti sei fatto, se te la sei fatta, di ciò che sta succedendo nel nostro Paese?
A. G. Con WORK, con i disegni di singoli lavoratori, ho voluto dire qualcosa di più o meno critico su una serie di professioni, una serie quasi casuale, ordinata solamente dal susseguirsi delle lettere dell’alfabeto. Prima A, poi B, poi C… No, in verità non sapevo nulla della rilevanza che la vostra Costituzione dà al lavoro. E neppure mi sembra che lo sappiano i lavoratori italiani. In verità a me sembra che in Italia come in ogni altro paese d’Europa i lavoratori altro non siano che merce nelle mani dell’economia mondiale, globalizzata come si dice oggi. E questo, francamente, mi pare in flagrante contraddizione con l’intenzione costituzionale.


Armin Greder, WORK. Il lavoro dalla A alla Z,
postfazione di Goffredo Fofi,
Orecchio acerbo/ELSE Libri Serigrafici E altro,
Roma, 2014


G.  «Se "il lavoro è l'uomo" come sapevamo una volta», scrive Goffredo Fofi nella postfazione al libro, «cosa diventa l'uomo quando il lavoro non ha più il senso della prova, di una crescita, di espressione di talenti e di contributo al bene comune, di partecipazione a un comunità e di assunzione di responsabilità?».
A. G. Quando l'operaio diventa una merce, lui è poco più di uno strumento che si estrae dalla cassetta degli strumenti quando è necessario per poi riporlo quando non serve più. Le conseguenze di tutto questo? Come ha detto Arturo Pérez-Reverte, “Il meglio del 21 ° secolo è che non ci sarò quando finisce”.



Armin Greder, WORK. Il lavoro dalla A alla Z,

postfazione di Goffredo Fofi,
Orecchio acerbo/ELSE Libri Serigrafici E altro,
Roma, 2014



Armin Greder, WORK. Il lavoro dalla A alla Z,

postfazione di Goffredo Fofi,
Orecchio acerbo/ELSE Libri Serigrafici E altro,
Roma, 2014


GWORK. Il lavoro dalla A alla Z, è l'opera che più di altre dà il senso di una pensiero, una condizione, che hai espresso in più occasioni, cioè il fatto di sentirti un illustratore e non uno scrittore.
 A. G. I primi due libri sono comparabili a dei film, in cui ogni elemento si aggiunge all’altro fino a configurare un tutt’unico, un insieme. WORK, invece, è una raccolta di istantanee indipendenti. Ma il rapporto tra testo e immagini non è meno importante, solo che qui questa relazione è molto compressa, concisa, diretta: una parola, una immagine. In WORK - al contrario de L’isola e Gli stranieri, dove ogni singola immagine e il relativo testo hanno un rapporto con le situazioni precedenti e successive - non esiste nulla al di fuori di questa relazione. Senza dimenticare che l'illustrazione non esiste di per sé, ma è sempre al servizio di qualcosa sopra di sé, in questo caso una singola parola. 
G Nel libro, ogni tavola porta i segni della perfezione e di una potenza iconografica trattenuta, ma pronta a deflagrare nelle mani e nel pensiero dei lettori da un momento all'altro. Ogni disegno, è stilisticamente e concettualmente in relazione con quello che lo segue, per evoluzione o involuzione, a seconda dei casi, meglio, dei lavori in essa rappresentati. Quale inquadratura di senso e significato hai scelto, dal quale sei partito, per raccontare questo grande tema? 
A. G. Se devo essere sincero, il rapporto tra le immagini è quasi del tutto casuale, mentre strettamente determinata dall’ordine alfabetico è la loro successione. Il compito più complicato è stato trovare il lavoro da abbinare ad alcune lettere.

Se c'è qualcosa di più potente rispetto alle immagini dei libri precedenti, è forse dovuto alla natura autonoma e concentrata di ogni illustrazione, e anche alla diversa tecnica con cui sono state realizzate. Il senso di immediatezza e spontaneità delle immagini di WORK è dato dal disegno a inchiostro in bianco e nero, linee tracciate senza alcuna esitazione e ripensamento. Immediatezza e spontaneità che però, per arrivare al disegno che vedi nel libro, spesso sono passate per venti, a volte trenta tentativi infruttuosi.


Armin Greder, WORK. Il lavoro dalla A alla Z,

postfazione di Goffredo Fofi,
Orecchio acerbo/ELSE Libri Serigrafici E altro,
Roma, 2014

Armin Greder, WORK. Il lavoro dalla A alla Z,
postfazione di Goffredo Fofi,
Orecchio acerbo/ELSE Libri Serigrafici E altro,
Roma, 2014



No, i libri di Armin Greder non sono libri innocui

Non lo sono e non lo stati nelle mani degli insegnati e dei ragazzi delle scuole medie e superiori in cui li ho lasciati nel corso di questi anni.
Hanno aperto riflessioni, discussioni, scambi, correlazioni, impensabili e impossibili da aprire altrimenti, tanto meno usando il solo supporto dei testi scolastici.

Quello che mi auguro, e che ci auguriamo insieme a Manganelli, è che continuino a fare danni salutari alla nostra indifferenza e ottusità adulta, certi che se somministrati ai giovani lettori potranno contribuire a combatterle sul nascere.


Grazie Armin e grazie, sempre, a Paolo. 

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