martedì 4 marzo 2014

IL SOLDATINO DELLA LIBERTÀ DEI BAMBINI: MARIO LODI E IL RICORDO DI UN MAESTRO


«Non avrei mai pensato di diventare maestro di scuola. Volevo fare il falegname, vivere in una segheria tra trance e pialle, sgorbie e lime. Il mio modello era Geppetto, l’artigiano di Collodi. 
Sì, volevo essere come Geppetto con Pinocchio.»






Quando ieri ho appreso della triste notizia della scomparsa di Mario Lodi, avvenuta il 2 marzo all'età di 92 anni, oltre a provare il senso di una sempre più cospicua solitudine lasciata dai grandi che se ne vanno, ho pensato a come avrei potuto rendergli in piccolo omaggio qui, su Gavroche.

Io, il Maestro di Piadena, il rivoluzionario gentile di Cipì, non l'ho mai conosciuto di persona. Però devo molto, come immagino tanti di voi, al suo pensiero e alla sua intera opera. Mi è capitato di assistere a suoi incontri e conferenze, ma non mi sono mai avvicinata a lui anche solo per dirgli grazie o fargli qualche domanda; mi è capitato, invece, di parlargli alcune volte al telefono e anche in queste occasioni il filo non riusciva a trattenere la sua intelligenza contagiosa che, generosamente, offriva con una dolcezza indicibile. 

Così, non ci ho pensato un attimo di più, ho chiesto ad Alex Corlazzoli, maestro, scrittore e giornalista, di cui vi ho parlato qui e qui, che Mario lo aveva conosciuto e, sono certa, che è uno dei suoi eredi più onesti impegnati e sinceri, se poteva essere lui a ricordarlo per Gavroche.

E poi, il mio pensiero è andato subito a un libro di Mario Lodi che ho avuto la fortuna di vedere qualche giorno fa, ancora in fase di realizzazione, Il soldatino di Pim Pum Pà che uscirà in occasione della prossima Fiera per Ragazzi di Bologna grazie a Orecchio Acerbo che l'ha recuperato per nostra fortuna dal pozzo delle meraviglie dei titoli "fuori catalogo" e lo ha affidato a un giovane illustratore dal talento visionario, Michele Rocchetti, che con mia profonda gioia è giunto così alla sua seconda prova editoriale dopo aver illustrato gli Effetti d'un sogno interrotto di Luigi Pirandello pubblicato dalla stessa casa editrice lo scorso anno. Inoltre, da vedere, sono le cinque tavole di Michele, tratte Heart of Darkness (Helbling Languages, 2013), che sono state selezionate per la Mostra degli Illustratori della prossima la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna.


«In qualche modo suoi allievi, a Mario Lodi avevamo deciso di rendere omaggio in modo esplicito. E così avevamo chiesto a Goffredo Fofi, Francesco Tonucci, Cosetta Lodi e Giovanni Nucci di essere con noi alla Fiera del libro di Bologna per disegnarne un ritratto da affiancare alle immagini di Quando la scuola cambia. Partire dal bambino di Vittorio De Seta [ndr. prima di quattro parti del documentario girato da De Seta nel 1978, dedicata all'esperienza del Maestro Mario Lodi a Vho di Piadena, e andata in onda il 10 aprile 1979]. Da parte nostra avremmo nuovamente pubblicato Il soldatino del Pim Pum Pà, con i disegni di una giovane promessa marchigiana, Michele Rocchetti. Mario ne era stato molto contento, e molto anche aveva apprezzato le illustrazioni di Michele. Ancora attentissimo, aveva però apportato alcune correzioni alla scheda preparata per le librerie. Purtroppo del libro - è in allestimento - solo le pagine digitali ha potuto vedere. Alla Fiera del libro di Bologna, più tristi, ci vedremo comunque il prossimo 25 marzo, alle ore 12.00 al Caffè degli Autori. Seppur indirettamente, ce lo chiedono in migliaia. Già oltre diecimila, infatti, sono le persone che hanno condiviso il saluto che con le parole di Simonetta Fiori gli abbiamo mandato da Facebook.».
Fausta, Carla, Federico, Paolo, Simone... Orecchio acerbo, 3 marzo 2014.

Vittorio De Seta, Rai - 10 aprile 1979

C'era una volta - e ora non c'è più - chi viaggiava stipato come una sardina 
e chi stracolmo in prima classe.
C'era una volta - e ora non c'è più - chi veniva di punto in bianco licenziato.
C'era una volta - e ora non c'è più - chi era costretto a emigrare.
C'era una volta - e ora non c'è più - chi usava la scienza solo per arricchirsi.
C'era una volta - e ora non c'è più - chi col potere tutto questo garantiva 
e con la forza manteneva.
C'era una volta - e per fortuna qualche sua traccia ancor oggi si trova - 
il soldatino del pim pum pà.
Ostinato, aveva, e ancora in testa ha, l'idea di raddrizzare i torti 
e di rovesciare le ingiustizie. 


Mario Lodi/Michele Rocchetti,
Il soldatino del Pim Pum Pà,
Orecchio acerbo, Roma, 2014
(in libreria dal 20 marzo) 


Forte della lettura di queste parole e della risposta positiva da parte di Alex alla mia richiesta ho pensato che presentarvi le due cose insieme, così questo è il tributo che ne è uscito e che mi auguro faccia affiorare in voi il desiderio di conoscere o rileggere l'intera opera di uno dei più grandi Maestri, e non solo di scuola, che abbiamo avuto l'onore di avere nel nostro Paese.


[di Alex Corlazzoli]

Il primo libro che ho conosciuto è stato Cipì
A casa mia, non solo non c'erano libri, ma non esisteva nemmeno la libreria. 
Eppure quella lettura che la maestra Teresa faceva ogni sabato mi affascinava, mi coinvolgeva. L'aveva scritta un insegnante con i suoi bambini. 
Anzi, il maestro Mario Lodi. 

Avevo trascorso le elementari con CipìSenza che me ne accorgessi, quella fiaba aveva lasciato un'impronta dentro di me, aveva segnato una traccia che mi sarebbe tornata utile una volta diventato, a sua volta, un maestro: Cipì, non era stato scritto da Lodi per i bambini ma dal maestro con i bambini per tutti gli altri fanciulli. Quel "con" non era solo una congiunzione, era la pedagogia di Mario Lodi, era stata la sua vita. 


Mario Lodi/Michele Rocchetti,
Il soldatino del Pim Pum Pà,
Orecchio acerbo, Roma, 2014

(in libreria dal 20 marzo) 


Con i ragazzi della scuola di Piadena, nel 1964, aveva avuto l'idea di fare corrispondenza con i bambini di Barbiana sperimentando lo scritto collettivo.
Con i suoi allievi aveva dato vita a un giornale in classe perché i genitori fossero costantemente informati su ciò che avveniva in aula. 
Con i bambini aveva vissuto ogni giorno la democrazia che lui stesso, da antifascista, aveva contribuito a realizzare in Italia. 

Per il maestro Lodi, i bambini, erano cittadini. Me lo insegnò anche in quella speciale lezione che mi donò tre anni fa, durante un pomeriggio trascorso alla sua cascina. Avrei dovuto intervistarlo ma mi ritrovai nei panni di uno scolaro. Lo ascoltai per oltre due ore, per imparare*
A trent'anni dalla lettura di Cipì, avevo l'occasione di incontrare il maestro. 


Mario Lodi/Michele Rocchetti,
Il soldatino del Pim Pum Pà,
Orecchio acerbo, Roma, 2014

(in libreria dal 20 marzo) 


Mi colpì la sua semplicità: non usava parole incomprensibili, non si vantava di ciò che aveva fatto, non faceva citazioni. 
Mi parlò della vita con i suoi alunni: «Dobbiamo chiederci perché si fanno gli esami a scuola. Per giudicare i bambini? Per scartare quelli che non possono andare avanti? Ma chi giudica chi fa? L'esame che dobbiamo fare non è una prova qualsiasi ma un esame di coscienza: in quella scuola i genitori sono contenti che i loro bambini imparino a parlare, a ragionare, a fare esperimenti in quel modo? I genitori sono soddisfatti di come la maestra ha condotto il gruppo alla conquista del sapere senza imporre le sue idee? I bambini possono giudicare le maestre? La fiducia è essenziale. I fanciulli non vanno messi nelle condizioni di essere bocciati. Nella Costituzione non c'è mai un articolo che parli di bocciare. C'è il verbo promuovere. Ciò vuol dire mettere i ragazzi nelle condizioni di saper risolvere dei problemi e interpretare il senso della scuola con una larghezza di veduta». 


Mario Lodi/Michele Rocchetti,
Il soldatino del Pim Pum Pà,
Orecchio acerbo, Roma, 2014

(in libreria dal 20 marzo) 


Un vero rivoluzionario della quotidianità, capace di cambiare la scuola italiana, da Vho, da un piccolo paese della pianura padana: «Io toglievo la cattedra perché non serviva. Se la nostra aula è brutta, vecchia e cadente cerchiamo migliorare quel poco che si può, per renderla abitabile. E allora è qui che avviene il passaggio dalla delega alla modifica della realtà in senso pratico. Se abbelliamo un'aula con dei vasi di fiori va deciso chi si cura di annaffiarli. Se ci sono dei libri, chi si interessa della biblioteca. Se c'è chi si occupa, allora nasce dalla scuola la praticità, la democrazia».

Quante volte, entrando in aula, ho pensato a quella lezione. Se oggi, non dò voti ai miei alunni ma provo a far loro amare il sapere senza essere giudicati, è grazie a Mario lodi. 

All'inizio dello scorso anno, ripensando a quel giornale che faceva per coinvolgere i genitori, mi venne l'idea di riattualizzare l'esperienza del maestro scrivendo una news letter alle mamme e ai papà, ogni settimana. 

Non ho mai portato, invece, dei fiori in aula. Ma ora che il maestro Mario Lodi, ci ha salutato, domani andrò in classe con una pianta. La affiderò ai bambini. Con loro, la cureremo. Impareremo ancora una volta, a occuparci della scuola. Vivendo la Costituzione.


Mario Lodi/Michele Rocchetti,
Il soldatino del Pim Pum Pà,
Orecchio acerbo, Roma, 2014

(in libreria dal 20 marzo) 


*
Testo integrale dell'intervista di ALEX CORLAZZOLI a MARIO LODI 
contenuta in 

Alex Corlazzoli,
Riprendiamoci la scuola.
Diario d'un maestro di campagna.
Come sopravvivere alla scuola italiana e cambiarla
,
Altreconomia, Milano, 2011

Sono passati più di sessant’anni anni dalla sua prima lezione a San Giovanni in Croce ma il maestro Mario Lodi non ha smesso di insegnare e educare.  È l’insegnante più conosciuto d’Italia per il suo Cipì giunto alla 28esima ristampa per Einaudi. Per incontrarlo bisogna andare a Drizzona. Nella sua vecchia cascina, sulla strada tra Mantova e Cremona, ha fondato l’associazione Casa delle Arti e del Gioco. Lì accoglie centinaia di bambini ma anche studenti universitari e soprattutto ex allievi, oggi papà e nonni. È un dono, per un giornalista, intervistare Mario Lodi, perché ti rendi conto di avere di fronte un uomo che ha vissuto il periodo della Costituente, un maestro che ha contribuito a far nascere la nostra scuola pubblica statale. Uno dei pochi che a 89 anni può ancora raccontarti la storia di questo Paese dal momento che l’ha vissuta in prima persona: arrestato per motivi politici durante la guerra, dopo la Liberazione, ha aderito al Fronte della Gioventù. Il maestro Lodi ha conosciuto don Lorenzo Milani e con i ragazzi della scuola di Piadena, nel 1964,  aveva avuto l’idea di fare corrispondenza tra le due realtà dando al prete di Barbiana l’occasione di sperimentare lo scritto collettivo. Ha ricevuto la Laurea ad honorem dall’Università di Bologna, ha vinto il premio “Viareggio” con il libro Il paese sbagliato (1970) ma se lo incontri hai proprio la sensazione di parlare con il tuo maestro delle elementari. Vedi nei suoi occhi l’allegria di chi è rimasto per tanti anni con i bambini, amandoli.   Maestro Lodi, cos’è rimasto della scuola pubblica statale che lei ed altri avete realizzato a partire dall’epoca repubblicana?«Noi avevamo ben chiare le idee: l’Italia era allo sfacelo. L’esperienza del fascismo e del nazismo aveva sconvolto tutta l’Europa. Bisognava rifare tutto: le leggi, le gerarchie, gli insegnanti. Ci siamo messi al lavoro e abbiamo guardato che tipo di scuola doveva avere una società democratica. La nostra scelta è scivolata lentamente ma durevolmente sulla Costituzione italiana. A 60 anni di distanza abbiamo i rottami di questa democrazia imperfetta. E allora che cosa deve fare il maestro per riportarla alla vivacità della prima fase?La scuola di una democrazia normale, non dico perfetta, deve accogliere. Dev’essere una scuola che inizia ogni anno con una festa dell’accoglienza.In secondo luogo, il concetto di assemblea si deve sostituire a quello di classe. Abbiamo bisogno di una scuola senza un capo che comanda, che dice “fai così altrimenti ti boccio”. Se il bambino è accolto lo è nel bene e nel male. Noi diciamo di essere sociali, ma non è vero. Domina nella gerarchia della scuola il concetto di chi vale di più e chi meno.Infine, la scuola dev’essere la seconda casa del bambino. Quando entra nella scuola, come diceva Maria Montessori, il ragazzo deve portarsi dietro delle abitudini che diventano la democrazia in atto. Questo ci serve per avere sullo sfondo l’educazione al rispetto dell’ambiente. Se noi consideriamo l’aula la nostra seconda casa, le vogliamo bene e quindi la difendiamo da chi vuole distruggerla. Così noi diventiamo “patrioti” della democrazia e impariamo il rispetto dell’ambiente». 
Insegnare è un mestiere o una missione? 
«È una buona domanda, difficile da mettere in pratica. Perché siamo in equilibrio, chi sceglie di fare il maestro sceglie una professione, ma è diversa da qualsiasi altro lavoro. Per fare il maestro serve un ingrediente che non è previsto nei regolamenti: bisogna sentire l’amore verso questi bambini che hanno bisogno di tutto e noi possiamo darglielo. A questa domanda dobbiamo rispondere quando entriamo in aula, levandoci il cappello e dicendo: “Io sono nella vostra scuola e sarò un vostro amico, non il maestro che giudica ma un amico che vi consiglia”.Questa è la scuola che se riesce ad interpretare il significato della vita, pone le condizioni perché si creino delle simpatie, non per dire questo è più bravo dell’altro ma per poter affermare che tutti assieme possiamo dare qualcosa alla scuola. E le simpatie, si esprimono attraverso l’organizzazione del lavoro. Tutto quello che si fa dev’essere al fine di migliorare la società, l’insieme della società non il capo. Per questo abbiamo introdotto nella mia scuola a Piadena una tecnica nuova ma vecchia: la stampa. Tutto quello che era fatto a scuola doveva essere scritto, documentato e divulgato ai genitori, agli amici. La scuola così serve per tutti».  

Cosa faceva lei quando entrava in aula? 
«Mi toglievo il cappello. E poi i bambini mi riconoscevano. Mi raccontavano di loro, del papà, del loro gattino, di ciò che amavano mangiare, Si descrivevano autobiograficamente. Ci mettevamo in cerchio per poterci guardare in faccia e non allineati in modo che uno coprisse l’altro. Nasceva la base della democrazia: noi ci conosciamo, voi ci conoscete. Se questo esercizio lo faccio ogni giorno creo l’abitudine alla democrazia». 

Oggi si è tornati a parlare di valutazione aprendo un grande dibattito sulle prove Invalsi. Si discute anche di come misurare la validità dell’insegnante. Lei che ne pensa? 
«Dobbiamo chiederci perché si fanno gli esami nella scuola. Per giudicare i bambini? Per scartare quelli che non possono andare avanti? Ma chi giudica chi fa? Qui siamo di fronte ad una difficoltà. L’esame che dobbiamo fare non è una prova qualsiasi ma un esame di coscienza: in quella scuola i genitori sono contenti che i loro bambini imparino a parlare, a ragionare, a fare esperimenti in quel modo? I genitori sono soddisfatti di come la maestra ha condotto il gruppo alla conquista del sapere senza imporre le sue idee? I bambini possono giudicare le maestre? La fiducia è essenziale. I fanciulli non vanno messi nelle condizioni di essere bocciati. Nella Costituzione non c’è mai un articolo che parli di bocciare. C’è il verbo promuovere. Ciò vuol dire mettere i ragazzi nelle condizioni di saper risolvere dei problemi e interpretare il senso della scuola con una larghezza di veduta. Possiamo noi pensare di chiedere ai maestri di sostituire la nota negativa con una positiva? Può essere accettata l’idea di una scuola che promuove il senso della responsabilità?»

Nel 1956 cambia scuola. Arriva a Vho di Piadena dove resterà fino a quando andrà in pensione. Il 20 settembre visita la scuola che la ospiterà e racconta in “C’è speranza se questo accade a Vho” che vede un’aula triste. Quanto conta nella scuola italiana dove gli edifici cadono a pezzi, non sono agibili e vecchi, la struttura, l’aula? 
«Le modifiche si fanno a seconda del programma che svolgiamo. Io toglievo la cattedra perché non serviva. Se la nostra aula è brutta, vecchia e cadente cerchiamo di migliorare quel poco che si può per renderla abitabile. E allora è qui che avviene il passaggio dalla delega alla modifica della realtà in senso pratico. Se abbelliamo un’aula con dei vasi di fiori va deciso chi si cura di annaffiarli.  Se ci sono dei libri, chi si interessa della biblioteca. Se c’è chi si occupa, allora nasce dalla scuola la praticità».      

Che ruolo avevano i genitori per il maestro Mario Lodi.

«Erano quelli che avevano messo al mondo dei bambini e me li presentavano come la cosa più preziosa che avevano. I genitori erano consultati prima dei colleghi. Dicevo loro che cosa avrei voluto fare e perché. Chiedevo se fossero stati d’accordo sul tipo di educazione che volevo fare. Altrimenti potevano iscriverli altrove. Ma non è mai successo. Anzi. Mi mandavano quelli più problematici. I colloqui con i genitori avvenivano la sera affinché venissero anche i padri. Ma va detto che i genitori erano costantemente informati perché stampavamo un giornale».

È possibile oggi continuare a dare gambe alla  scuola che lei ha sognato e costruito, facendo i conti  con il precariato?

«La parola stessa precario dice che non bastano, c’è qualcosa che manca nel precario. Il precario deve costruirsi la sua realtà scolastica. Ma precario cosa significa esattamente. I precari lo sanno chi sono? Lo sanno quello che chiedono? Lo sanno se è possibile avere quello che domandano? La figura del precario è la figura del maestro o no? Purtroppo siamo di fronte alla mobilità magistrale».

Una volta c’era il sindaco, il dottore, il prete e il maestro.
E i genitori.
Sottolineatura importante. Ma torniamo al maestro: è ancora una figura di riferimento nella società odierna?
La società moderna è totalmente cambiata. Ha sostituito i valori con quelli cosiddetti nuovi ma sono vecchi come il cucù. Prendiamo ad esempio il concetto di libertà: siamo liberi, siamo in una democrazia, possiamo fare quello che vogliamo. Ma non è vero perché tutti i giochi hanno una regola anche quello del calcio, delle carte.  Noi non siamo singoli che esercitano la libertà ma siamo Stato, unione di individui che hanno lo stesso fine: costituire una società valida. Le figure che aveva un tempo la scuola non valgono più. Valgono per comandare ma non per servire”.
È possibile pensare che la scuola di don Milani sia ancora oggi attuale? 
«Quella di don Milani è un’idea che si è inserita negli esperimenti fatti nel dopoguerra. L’idea della pluriclasse che aveva in mente don Lorenzo coincideva con le pluriclassi che illustri pedagogisti avevano praticato anni dopo. Resta attuale quel discorso. Sono convinto che come un genitore con   figli di diversa età usa linguaggi diversi per farsi capire così anche la scuola deve usare linguaggi diversi perché comprenda il bambino. La scuola è come una famiglia. Oggi l’idea di pluriclasse di don Milani, purtroppo, è stata distrutta».
Educare o insegnare?
«Posso rispondere con le parole di don Milani: “Non dovreste fare questa domanda a me ma dovreste preoccuparvi di come siete voi nei confronti dei ragazzi. Perché dalla risposta che date dipende tutto il vostro programma”. Educare e insegnare è la stessa cosa se rispettiamo questa regola. E’ una legge universale».
Veniamo a Cipì, la storia nata nella piccola scuola di Vho dove i ragazzi scoprirono dalla finestra una intensa e drammatica vita che annotarono dando vita alla favola vera del passerotto Cipì. Dopo 50 anni Cipì provoca ancora le stesse emozioni, gli stessi interessi nei bambini. Qual è il segreto di questa storia?
«Mi domando ancora anch’io che cos’ha? Non so… davvero.  Eppure c’è qualche punto debole in Cipì. In questa storia dell’uccellino che in fondo è la storia dei bambini che si identificano con la storia dei passeri, manca il papà di Cipì: non c’è, è sparito. E spesso i bambini oggi si pongono l’interrogativo: dov’è il papà di Cipì? Alla televisione? È il problema dei papà che si aggregano per formare una famiglia nuova che non c’è, forse. È drammaticamente d’attualità.  Un altro aspetto sul quale dopo tanti anni rifletto è che la storia finisce con l’allontanamento del pirata, di uno che incanta e poi mangia i bambini. È cronaca anche questo tema.In questo libro quello che hanno visto fare dai grandi l’hanno attribuito ai piccoli. Non so perché è ancora così letto, non so se sia merito dei media, dei cartoni animati. Non saprei me lo sto ancora chiedendo…».


3 commenti:

  1. Cara Elisabetta, ho avuto segnalazione da Paolo Cesari di orecchio acerbo di questo articolo, molto bello ed interessante. Volevo ringraziarti anche per le belle parole che hai dedicato al soldatino del Pim Pum Pa. Anche io avevo scritto due righe in ricordo di Mario Lodi sul mio blog:
    http://www.michelerocchetti.blogspot.it/2014/03/ciao-mario.html
    Un caso saluto. Michele

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  2. Caro Michele, è un piacere conoscerti, qui, su Gavroche.
    Il primo tuo lavoro che ho visto, è stata la cura della grafica del calendario dei Grimm di GiovinAstri. Incuriosita, ho scoperto il tuo sito e scritto subito a Eleonora Sarti per chiedere tue notizie. Eleonora mi disse, al tempo era la fine del 2011 o inizio 2012, che non avevi ancora finito il Master. Poi, ti ho ritrovato in Orecchio acerbo e Paolo sa quanto ne sono stata felice.
    Beh, complimenti per il tuo lavoro... e per la Mostra degli Illustratori, in bocca al lupo! Sentiremo molto parlare di te, ne sono convinta.
    Un caro saluto,
    Elisabetta

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