martedì 25 dicembre 2012

BUON NATALE!

 Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose 
meditandole nel suo cuore
Luca 2, 19


Sandro Botticelli - Madonna del libro - 1493
Museo Poldi Pezzoli - Milano 

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BUON NATALE!

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lunedì 24 dicembre 2012

L'AVVENTO DEI LIBRI. GIORNO 24

Molti di voi mi hanno scritto per chiedermi alcuni consigli riguardo ai libri da leggere, o da regalare, in occasione del Natale... insomma mi avete chiesto quali libri mi sono piaciuti di più nell'ultimo anno.
Ho pensato di rispondervi in chiusura di questa edizione de L'AVVENTO DEI LIBRI, proponendovi alcuni dei titoli che ho amato di più, e di farlo nell'ultimo giorno possibile, quello che si fa di corsa per comprare i regali e qualcosa per sé.
Perché un buon libro...

Per prima cosa, nel corso dell'iniziativa "Un Castello di Libri" che si è conclusa da poco più di una settimana, ho avuto l'occasione di ascoltare e condividere il pensiero degli autori che vi hanno partecipato.
È stata per tutti noi un'esperienza di grande intensità e coinvolgimento emotivo.

Il piacere è stato tanto che tra i miei regali di Natale svettano i loro libri che, qui, vi consiglio di leggere, non per piaggeria ma perché sono davvero belli.

ALEX CORLAZZOLI
LA SCUOLA CHE RESISTE. STORIE DI UN MAESTRO DI PROVINCIA, CHIARELETTERE, MILANO, 2012
L'EREDITà. GIOVANNI FALCONE E PAOLO BORSELLINO 1992-2012: LE LORO IDEE CAMMINANO SULLE NOSTRE GAMBE, ALTRAECONOMIA, MILANO, 2012

UGO CORNIA

IL PROFESSIONALE. AVVENTURE SCOLASTICHE, FELTRINELLI, MILANO,2012

AUTOBIOGRAFIA DELLA MIA INFANZIA, TOPIPITTORI, MILANO, 2010


LUIGI MANCONI
LUIGI MANCONI/VALENTINA BRINIS, LA MUSICA è LEGGERA. RACCONTO SU MEZZO SECOLO DI CANZONI, IL SAGGIATORE, MILANO, 2012

LUIGI MANCONI/VALENTINA CALDERONE, QUANDO HANNO APERTO LE CELLA. STEFANO CUCCHI E GLI ALTRI, IL SAGGIATORE, MILANO, 2012

VITO MANCUSO
OBBEDIENZA E LIBERTà, FAZI, ROMA, 2012
IO E DIO. UNA GUIDA DEI PERPLESSI, GARZANTI, MILANO 2012

MICHELA MURGIA
L'INCONTRO, EINAUDI, TORINO, 2012
AVE MARY, EINAUDI, TORINO, 2011

PAOLO NORI
TREDICI FAVOLE BELLE E UNA BRUTTA, RIZZOLI, MILANO, 2012
LA MERAVIGLIOSA UTILITà DEL FILO A PIOMBO, MARCOS Y MARCOS, MILANO, 2011

ALBERTO OLIVERIO
CERVELLO, BOLLATI BORINGHIERI, MILANO, 2012
PER PURO CASO, DEDALO, 2012

FEDERICO TADDIA
FEDERICO TADDIA/CLAUDIA CERONI, FUORI LUOGO. INVENTARSI ITALIANI NEL MONDO, FELTRINELLI, MILANO, 2010
FEDERICO TADDIA/MARGHERITA HACK, NOVE VITE COME I GATTI, RIZZOLI, MILANO, 2012


Regalerò anche ALZANDO DA TERRA IL SOLE, la raccolta curata da Beppe Cottafavi e uscita per MONDADORI, che ha come scopo la raccolta fondi per la ricostruzione della Biblioteca "Eugenio Garin" di Mirandola.




Ma regalerò anche INTERNO PERDUTO. L'IMMANENZA DEL TERREMOTO. UN VIAGGIO IN EMILIA TRA LE COSE PERDUTE di Giovanni Chiaramonte, FRANCO COSIMO PANINI EDITORE, il libro fotografico i cui ricavati delle vendite andranno a comporre la raccolta di fondi per il restauro del crocifisso del Duomo di Mirandola.




Poi non mancheranno di certo...


Jeniffer Egan, Il tempo è un bastardo, Minimum fax, Roma, 2011.  

Vincitore, tra gli altri premi, del Pulitzer 2011. Pura luminosa scrittura con pause R'n'R e un rigore spaventoso. Dopo le prime pagine, procedete sicuri alla meta.

Il tempo è un bastardo è un romanzo insolito, formato da una serie di racconti eterogenei per ambientazione e stile, ma collegati dal ricorrere degli stessi personaggi. Al centro ci sono Bennie Salazar, ex musicista punk e ora discografico di successo, e il suo fidatissimo braccio destro Sasha, una donna di polso ma dal passato turbolento. Le loro storie si snodano fra la San Francisco underground di fine anni Settanta e una New York prossima ventura in cui gli sms e i social network strutturano le emozioni collettive, passando per improbabili ascese sociali e matrimoni falliti, fughe adolescenziali nei bassifondi di Napoli, scommesse azzardate ma vincenti su musicisti dati troppe volte per finiti. Intorno a Bennie e Sasha si compongono le vicende delle loro famiglie, dei loro amici, dei loro mentori: una costellazione di co-protagonisti indimenticabili grazie alla quale la Egan riesce a raccontare le degenerazioni isteriche del giornalismo e dello star-system, la pericolosa meraviglia delle droghe psichedeliche, le delicate dinamiche emotive di un bambino autistico nella provincia americana del futuro.Il tempo è un bastardo supera con coraggio gli stereotipidella narrativa tradizionale ma resta godibile e appassionante per tutti i lettori: è un romanzo-mondoaperto alle infinite possibilità dell’esistenza e della prosa,che si è conquistato la vetta della scena letteraria americana e si avvia a diventare un caso internazionale.



Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli, Milano, 2012.


Complesso, scontroso, uno sguardo lucido e illuminante sul nostro tempo, forse antipatico, sicuramente pasoliniano.


Molte inchieste ci hanno parlato della famosa "zona grigia" tra criminalità e finanza, fatta di banchieri accondiscendenti, broker senza scrupoli, politici corrotti, malavitosi di seconda generazione laureati in Scienze economiche e ricevuti negli ambienti più lussuosi e insospettabili. Ma è difficile dar loro un volto, immaginarli nella vita quotidiana. Walter Siti, col suo stile mimetico e complice, sfrutta le risorse della letteratura per offrirci un ritratto ravvicinato di Tommaso: ex ragazzo obeso, matematico mancato e giocoliere della finanza; tutt'altro che privo di buoni sentimenti, forte di un edipo irrisolto e di inconfessabili frequentazioni. Intorno a lui si muove un mondo dove il denaro comanda e deforma; dove il possesso è l'unico criterio di valore, il corpo è moneta e la violenza un vantaggio commerciale. Conosciamo un'olgettina intelligente e una scrittrice impegnata, un sereno delinquente di borgata e un mafioso internazionale che interpreta la propria leadership come una missione. Un mondo dove soldi sporchi e puliti si confondono in un groviglio inestricabile, mentre la stessa distinzione tra bene e male appare incerta e velleitaria. Proseguendo nell'indagine narrativa sulle mutazioni profonde della contemporaneità, sulle vischiosità ossessive e invisibili dietro le emergenze chiassose della cronaca, Siti prefigura un aldilà della democrazia: un inferno contro natura che chiede di essere guardato e sofferto con lucidità prima di essere (forse e radicalmente).




Marcello Fois, Nel tempo di mezzo, Einaudi, Torino, 2012

"La sofferenza è come la felicità non sono atti gratuiti, costano sempre qualcosa e soprattutto vanno insegnati."
Un libro per riappacificarsi con la vera letteratura.
Se in Italia i premi letterari fossero una cosa seria questo libro sarebbe stato il vincitore dello Strega e del Campiello.
Consiglio, prima, di leggere Stirpe (Einaudi, Torino, 2009), il primo titolo di quella che diventerà una trilogia. 

Vincenzo Chironi mette piede per la prima volta sull'Isola di Sardegna - "una zattera in mezzo al Mediterraneo" - nel 1943, l'anno della fame e della malaria. Con sé ha solo un vecchio documento che certifica la sua data di nascita e il suo nome, ma per scoprire chi è lui veramente dovrà intraprendere un viaggio ancora più faticoso di quello affrontato col piroscafo che l'ha condotto fin li. A Nuoro trova ad attenderlo il nonno, Michele Angelo maestro del ferro, che gli farà da padre e da complice in parti uguali -, e soprattutto sua zia Marianna, che vede nell'inaspettato arrivo del nipote l'opportunità per riscattare un'esistenza puntellata dalla malasorte. Anni dopo, quando ormai a Nuoro la presenza di Vincenzo Chironi sembra scontata, naturale come il mare e le rocce, la forza del sangue torna a far sentire il suo richiamo. Perché quando Vincenzo conosce Cecilia, che ha "gli occhi di un colore che non si può spiegare", innamorarsi di lei gli sembra l'unica cosa possibile. Anche se è promessa sposa di Nicola, con cui lui è mezzo parente... Se è vero che "la disobbedienza chiama il castigo", forse è anche vero che quell'amore è l'ultimo anello di una catena destinata a non aver fine. Dopo l'epopea di "Stirpe", Marcello Fois - con una lingua capace di abbracciare l'alto e il basso, e di potenziare lo scorrere del tempo - dipinge un mondo in cui i paesaggi sono vivi come i personaggi che li abitano.



Enrico Deaglio, Il vile agguato, Feltrinelli, Milano, 2012.


Niente di nuovo per coloro che hanno seguito le inchieste sulla morte del giudice Borsellino se non fosse che la voce che racconta questo libro è quella di Enrico Deaglio, impareggiabile narratore della nostra storia, che prende ogni  elemento di questo vergognoso omicidio che continua a essere perpetrato nei confronti qui di Paolo Borsellino, e lo riordina provocando nel lettore una sensazione di consapevolezza, amarezza e desiderio di giustizia indicibili.

A Paolo Borsellino piaceva citare liberamente dal Giulio Cesare di Shakespeare una frase secondo cui "è bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola". È un paradosso terribile che questi vent'anni abbiano condannato proprio lui a morire molte volte, ucciso in innumerevoli versioni da colpevoli sempre diversi. È stato lo stato, lo stato mafia, la mafia stato; il doppio stato. È stato Berlusconi, o perlomeno Dell'Utri. Sono stati i servizi. Deviati. No, quelli ufficiali. Sono stati Ciancimino e Provenzano. Il fatto è che l'omicidio di Borsellino è ormai diventato uno di quei buchi neri della storia italiana, in cui come in un gorgo si annodano e si raccolgono tutti i misteri, i protagonisti, le inconfessabili verità di un momento storico e di un paese che ha sempre avuto molto da nascondere, in primo luogo a se stesso. "Tale è stato il destino del nostro eroe; e l'Italia non è un paese per eroi. La ricerca della verità sul suo assassinio implicava un contributo di onestà, che è stata soffocata. Difficile che si possa recuperare il tempo perduto, perché ormai quella stessa ricerca della verità è strettamente connessa con la ricerca delle ragioni della disonestà di chi doveva cercarla. E dunque, diventa un'impresa quasi impossibile." Ma quello che è possibile fare è scavare nel mosaico sepolto, separare le tessere vere da quelle false, ripulire, rimetterle in ordine e raccontarle.



Mark Long, Jim Demonakos, Nate Powell, Il silenzio dei nostri amici, Bao Publishing, 2012

Quando il fumetto dovrebbe diventare libro di testo nelle scuole (università?).
Nel Texas del 1968 due famiglie, una bianca, una di colore, si ritrovano unite nella lotta per salvare la vita di cinque studenti neri del college locale, ingiustamente accusati dell'omicidio di un poliziotto. Mark Long è il figlio di uno dei giornalisti che in quei giorni seguirono la vicenda e la storia di questo libro è parzialmente autobiografica, basata su eventi reali. Ai disegni un Nate Powell ("Portami Via", "Any Empire") in stato di grazia, che fa di questo romanzo grafico una futura pietra miliare del genere. Il titolo deriva dalla frase di Martin Luther King: "Alla fine, non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici."




Julian Barnes, Il senso di una fine, Einaudi, 2012.

Tutti hanno urlato al capolavoro, dopo. Hanno ragione. Il primo in Italia su tutti, come spesso accade, è stato Gabriele Romagnoli: chi l'ha seguito subito non ha perso tempo.


Tony Webster è un uomo senza qualità. Negli studi e nel lavoro, nei sentimenti e, c'è da scommetterci, anche nel sesso. Ma la lettera con cui un avvocato gli annuncia il lascito di cinquecento sterline e di un diario proveniente dal passato scuote il fondo limaccioso della sua esistenza. Tony deve ora scoprire chi gli ha destinato quell'ingombrante eredità e perché ha scelto proprio lui, e quale segreto rabbiosamente custodito quel diario potrebbe rivelare. Nel porsi queste domande, s'imbatterà in risposte che avrebbe preferito non conoscere e dovrà imparare a sue spese che «la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato».
Tempo e memoria. Con quelli si entra nel libro, attraverso la lista di flashback che il tempo ha cristallizzato in immagini. La memoria di Tony Webster predilige ricordi d'acqua, nel cui fluire controcorrente passa il racconto della sua sommersa inquietudine.



John Niven, A volte ritorno, Einaudi, Torino 2012 


Magari è facile ma la miscela freak R'n'R e punk è assolutamente travolgente. Poi, forse è anche un po' blasfemo a guardarlo con un po' di rigore: imperdibile!

Dopo una settimana di vacanza che sarebbero cinque secoli di tempo terrestre, Dio torna in ufficio, ancora col cappello di paglia e la camicia a quadri. Era andato in vacanza, a pescare, in pieno Rinascimento, quando i terrestri scoprivano un continente alla settimana, e sembrava andasse tutto a gonfie vele. Al suo ritorno però, il quadro che gli fanno i suoi ha del catastrofico: il pianeta ridotto a un immondezzaio, genocidi come se piovesse, preti che molestano i bambini... Dio non è solo ultradepresso. Anche molto incazzato. L'unica soluzione, pensa, è rispedire sulla Terra quello strafatto di suo figlio. - Sei sicuro sia una buona idea? - gli chiede Gesú. - Non ti ricordi cosa è successo l'altra volta? - Ma Dio è irremovibile. Cosí Gesú Cristo piomba a New York, tra sballoni e drop out di ogni tipo. E cerca, come può, di dare una mano agli sfigati della terra. Il ragazzo non sa fare niente, eccetto suonare la chitarra. E riesce a finire in un programma di talenti alla tv. Un gran bel modo per fare arrivare il suo messaggio a un sacco di gente. Ma, come già in passato, anche oggi chi sta dalla parte dei marginali non è propriamente ben visto dalle autorità.




Chad Harbach, L'Arte di Vivere in Difesa, Rizzoli, Milano, 2012


Un esordio editoriale strepitoso. Un romanzo che lascia la possibilità al lettore di seguire il filo narrativo che preferisce. Un grande racconto della commedia umana attraverso il l'epopea del baseball, ma in modo diverso da come lo potete immaginare.
Chad Harbach, uno degli editor della rivista "n+1", ha  atteso dieci anni prima di decidere di pubblicare questo libro, per fortuna alla fine l'ha fatto.

Quando arriva al Westish College, sulle sponde del lago Michigan, Henry Skrimshander è un ragazzo gracile e spaesato, certo soltanto della propria inadeguatezza. Ma sul campo da baseball si trasforma, e un istinto infallibile lo guida in gesti di una grazia assoluta. Mike Schwartz, il suo mentore e migliore amico, ripone in lui tutte le sue speranze di ragazzone stempiato dal cuore grande e dal futuro incerto, mentre Owen Dunne, il compagno di stanza gay e mulatto, lo confonde con l'inarrivabile spigliatezza dei modi e i lapidari giudizi in fatto di letteratura e blue jeans. Poi c'è Guert Affenlight, il rettore che a sessantanni ha ceduto alla forza di un sentimento inconfessabile, e adesso lotta felice e sgomento per non soccombere alla marea delle proprie emozioni impazzite. Sua figlia Pella sta per tornare in città con una vecchia borsa di vimini e un matrimonio fallito alle spalle, precoce e irrequieta come il giorno in cui se ne andò. Ma al Westish, tra drammi che incombono e amori incipienti, tutto sta per cambiare. E ciascuno, che lo voglia o no, sarà costretto a fare i conti con quella cosa luminosa e terribile che chiamiamo vita.



Nathan Englander, Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, Einaudi, Torino, 2012

Un libro magistrale, una raccolta tra lirica e memoria indimenticabile.


Si respira un'aria antica fra le pagine di questa nuova raccolta di racconti di Nathan Englander. C'è l'immutabilità della parabola e la sapienza della narrazione ebraica, c'è il grottesco di Gogol' e l'ineludibilità di Kafka, l'intelligenza caustica di Philip Roth e la spiritualità applicata di Marilynne Robinson. E intorno a tutto, incontenibile, liberatoria, un po' sacrilega, una sonora risata.
La scrittura di Englander corre agile sul filo teso fra il religioso e il secolare, agile e mai leggera, esplora gli obblighi e le complessità morali dei due versanti, ne assapora le esilaranti debolezze, strappando sorrisi pronti a congelarsi in smorfie attonite. Il marito esemplare e avvocato di successo di Peep show cerca la trasgressione in uno squallido locale a luci rosse, e incontra invece la sua cattiva coscienza travestita (o meglio svestita) da rabbino della sua vecchia yeshiva. Le nudità flaccide e pelose dell'esimio dottore della legge restano comiche solo fino al successivo, terrorizzante, travestimento.
Si ride di gusto anche delle piccole manie geriatriche degli ospiti del centro estivo Camp Sundown, finché riguardano spray antizanzare e allarmi antifumo, ma quando le vetuste menti dei villeggianti credono di riconoscere in un compagno di soggiorno un carceriere nazista di ben altro campo del loro passato, la commedia si tinge di nero.
L'ombra dell'Olocausto, o di una sua rivisitazione, occhieggia insistente fra le pagine del libro: a partire dal riferimento alla diarista simbolo della Shoah, informa il clima dell'intera raccolta e del racconto da cui prende il titolo. Lì due coppie diversissime fra loro - ebrei ortodossi residenti a Gerusalemme gli uni, americani non praticanti gli altri - siedono intorno a un tavolo e, tra i fumi dell'alcol e della marijuana, discutono, non di amore e incomunicabilità, come nell'illustre antecedente carveriano, ma di identità e fede. Fino alla prova che scuote le certezze, il «gioco di Anne Frank»: in caso di un secondo Olocausto, quale Gentile mi sottrarrà al mio destino?
L'ineluttabilità del fato e la sua costruzione, la perversa macchina dei ruoli inculcati per discendenza, sono magistralmente illustrati nell'ambizioso racconto Le colline sorelle, che dalla guerra di Yom Kippur a oggi, fra senso della missione e senso della minaccia, insieme alle radici di un simbolico ulivo maledetto mette a nudo quelle dell'odio.
E così, tassello dopo tassello, Englander offre un'altra sfaccettata declinazione dell'ebraicità che, da Singer, Malamud e Bellow fino a Roth, lo colloca saldamente e con unanime plauso nella grande tradizione letteraria ebraico-americana.



Jean-Yves Ferri & Manu Larcenet, Ritorno alla terra 1, (2009) e Ritorno alla terra 2 (2010), Coconino Press, Bologna.

Capita di arrivare in ritardo... 

Un capolavoro dell’umorismo, in patria un successo da più di 100 mila copie. Un fumetto verde per ambientalisti “doc” che sanno ridere un po’ anche di se stessi. Sono le avventure di Manu e della sua compagna Mariette, che hanno deciso di dire basta al caos e allo stress della metropoli e di andare a vivere in campagna, nell'ameno borgo di Rapanel. Con un fuoco di fila di esilaranti gag, le strisce scritte da Jean-Yves Ferri e disegnate da Larcenet esplorano con ironia e poesia il desiderio di tornare a uno stile di vita più vicino alla natura. Andare in campagna è facile, ma lasciarsi alle spalle le nostre nevrosi quotidiane è un po’ più difficile…


Manu Larcenet, Blast, Coconino Press, Bologna, 2012

Ancora uno stupefacente fumetto di Larcenet, per chi ha amato Lo scontro quotidiano.
Un viaggio nel lato oscuro dell’anima. Un mistero che si svela a poco a poco, come in un thriller psicologico, tenendo il lettore inchiodato alla pagina. Il protagonista, l’italo-francese Polza Mancini, è un clochard obeso e alcolista. Un uomo di 38 anni intrappolato in un corpo goffo ed enorme, specchio di violenti tormenti interiori. Lo troviamo in una cella, all’inizio della storia, interrogato da due poliziotti. È accusato di aver fatto del male a una donna, che ora si trova in coma. Lui comincia a raccontare per flashback una strana storia: era un rispettabile scrittore di libri di gastronomia, sposato, una vita normale. Dopo la morte di suo padre, ucciso da un cancro, ha avuto un crollo psicologico, ha lasciato tutto e ha cominciato a vagare nelle campagne e a vivere per strada come un barbone. Di tanto in tanto Polza ha dei momenti di “illuminazione”, allucinazioni-epifanie (il “Blast” del titolo), durante le quali si sente miracolosamente leggero, in armonia e in equilibrio con se stesso. In quegli istanti ha visioni dei misteriosi Moai, le statue colossali dai volti imperscrutabili dell’Isola di Pasqua, che vorrebbe confusamente raggiungere…
Chi è Polza? Uno psicopatico, oppure il testimone di una verità profonda che noi “normali” non riusciamo a vedere?
Il progetto dell’opera prevede 4 o 5 volumi.
Blast ha vinto nel 2010 il Prix des Libraires francese, andato in passato a scrittori come Fred Vargas e Muriel Barbery, e il prestigioso Premio 2011 della rivista letteraria "Lire" per il miglior fumetto dell'anno.





Aravind Adiga, L'ultimo uomo nella torre, Einaudi, Torino, 2012.

Bolliwood in chiave neorealista. Il piacere di una narrazione, quotidiana, tangenziale ma capace di farti sentire anche gli odori dei posti descritti.

Che cosa siamo disposti a fare per denaro quando l'offerta è così alta da cambiare radicalmente la nostra vita? Tutto, rispondono i condòmini del Vishram di fronte all'offerta del costruttore Dharmen Shah, che al posto del vecchio stabile di Mumbai vuole erigere un grattacielo di appartamenti di lusso. Tutti i condòmini? Tutti tranne uno. È l'ultimo uomo nella torre, l'integerrimo, l'inamovibile, che per i rispettabili occupanti del Vishram diventa l'ostacolo che si frappone alle loro speranze di felicità. 




Jeff Smith, Rasl vol. 1. La faglia,  Bao Publishing,  2012.

Dopo il capolavoro Bone, il nuovo psicadelico lavoro di Smith.

La nuova saga di Jeff Smith, dopo BONE, inizia qui! Chi è RASL? Un ladro d'arte con la capacità di viaggiare attraverso le dimensioni? O c'è qualcosa di più, dietro alle gesta di questo antieroe complesso e disperato? Tra sensazionali scoperte scientifiche, leggende dei nativi americani e i diari segreti del geniale inventore Nikola Tesla, questa storia in quattro volumi che usciranno a cadenza trimestrale vi terrà con il fiato sospeso per un anno e sarà proposta in volumi di grande formato, come li ha pensati il suo straordinario autore. Un techno-noir che vi terrà con il fiato sospeso.



Stephen King, 22/11/63, Sperling & Kupfer, Milano, 2012

Per tutti quelli che ancora si ostinano a non riconoscere  King come uno dei migliori scrittori di tutti i tempi. Fategli leggere questo libro e poi pretendete le loro sentite scuse...

Jake Epping ha trentacinque anni, è professore di inglese al liceo di Lisbon Falls, nel Maine, e arrotonda lo stipendio insegnando anche alla scuola serale. Vive solo, ma ha parecchi amici sui quali contare, e il migliore è Al, che gestisce la tavola calda. È proprio lui a rivelare a Jake il segreto che cambierà il suo destino: il negozio in realtà è un passaggio spaziotemporale che conduce al 1958. Al coinvolge Jake in una missione folle - e follemente possibile: impedire l'assassinio di Kennedy. Comincia così la nuova esistenza di Jake nel mondo di Elvis, James Dean e JFK, delle automobili interminabili e del twist, dove convivono un'anima inquieta di nome Lee Harvey Oswald e la bella bibliotecaria Sadie Dunhill. Che diventa per Jake l'amore della vita. Una vita che sovverte tutte le regole del tempo conosciute. E forse anche quelle della Storia.


Leo Ortolani, ALLEN, Panini Comics, Modena, 2012

Se amate Alien, ma soprattutto se amate RATMAN... non lo amate?
Allora non lo avete mai letto!

Dalla presentazione di ALLEN di Leo Ortolani sul blog "Fumetto d'Autore".
«ALLEN è la storia di quello che succede quando cerchi di scoprire i grandi misteri dell'uomo. Da dove veniamo? Dove andiamo? Torneremo per ora di cena?
All'inizio doveva essere solo la parodia di ALIEN, ma poi...Poi Ridley Scott l'ha fatto. Ha visto che tutti facevano dei gran soldi con i sequel, prequel di cose che avevano fatto dieci anni prima, vent'anni prima, si è detto "chi sono, io, il figlio della serva?" E l'ha fatto. Un sequel che però doveva essere un prequel, poi è uno spin off, ma un po' prequel. PROMETHEUS. E insomma, dopo che ho visto Prometheus, non potevo fare semplicemente una parodia di Alien, ennò, perchè c'era questo nuovo film, con dentro cose che..Non potevo! Non potevo non usarle!
SE vedrete il film, se lo avete già visto, se lo avete scaricato, le capite subito. Le cose che non potevo lasciare lì. Tanti e tanti anni prima, avevo fatto una parodia di Alien, e avevo intenzione di riprendere quella e di riscriverla in parte, ma alla fine ho fatto una cosa completamente diversa. E quella vecchia verione di Alien, magari la pubblico on line, con gli aggiustamenti del caso, su TEMPO PERSO. O magari no, dipende se trovo il tempo.
La cosa interessante (per chi, poi?) è che entrambe le storie, quella passata, del 199...4(?), e quella di adesso, del 2012, sono disegnate con una semplice biro Bic nera.
Per rendere quella "fantascienza sporca" che è stata inaugurata da Alien. E giù di tratteggio, che mi pare d'essere il Gustavo Dorè del fumetto.Come sempre, una lavorata pazzesca. Non so nemmeno io perchè me le vado a cercare.
Ma in fondo, è quello che succede agli interpreti di ALLEN. Se le vanno a cercare. E le trovano.

BUONA LETTURA!

domenica 23 dicembre 2012

L'AVVENTO DEI LIBRI. GIORNO 23


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012
Annamaria Gozzi è nata a Reggio Emilia nel 1962. Ha fatto mestieri diversi: consulente del lavoro, erborista-droghiera, copywriter. Attualmente si interessa della ricerca e recupero di memorie e testimonianze. Collabora con il Teatro dell'Orsa alla drammaturgia di spettacoli e alla conduzione di laboratori. Ha scritto racconti e libri per l'infanzia tra cui Fiabe e Storie dal mondo; Pico Rotondo; Coniglio Nero; Il cerchio di Zero; Bambini con le ruote, ovvero sopravvivere alla separazione e La voce del noce. 
Violeta Lopiz, Ibiza, 1980. Ha abbandonato la musica per studiare illustrazione presso la Escuela de Arte nùmero 10 di Madrid. Illustra per bambini e adulti dal 2006 e anche se molti suoi libri sono stati pubblicati da case editrici spagnole (Anaya, Kalandraka, Edelvives, Almadraba, MacMillan) Topipittori è stata la prima ad averle proposto un album illustrato (La coda canterina con Guia Risari, 2010). Sulla sua disordinata scrivania, a Berlino o a Madrid, si possono incontrare: un bicchiere di acqua sporca, un libro di botanica, matite colorate, molti pezzi di carta, un gatto, tanti vecchi pennelli e dei biscotti al cioccolato. 

Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012
Nata a Venezia nel 1926 da Corrado Tumiati, medico scrittore antifascista, e Maria Luzzatto, ebrea, Lucia Tumiati a causa delle leggi razziali fu costretta, con la madre, a vivere nascosta. Successivamente, entrò a far parte delle staffette partigiane per "Giustizia e Libertà", a Padova e Venezia. Laureata in lettere con una tesi su Collodi, ha iniziato a scrivere romanzi, racconti, fiabe e testimonianze per adulti, ma soprattutto per ragazzi e bambini. Nelle sue opere la storia si mescola alla fantasia e la fantasia trova radici nella realtà, senza mai abbandonare l’impegno sociale. La fantasia e l’esperienza di vita, oltre all'amicizia con Gianni Rodari, costituiscono la base di ciò che scrive, e di come lo scrive.  Joanna Concejo è nata nel 1971 a Slupsk, in Polonia e si è diplomata all'Accademia di Belle Arti di Poznan, nel 1998. Attualmente abita e lavora Parigi. Negli ultimi anni è stata selezionata a "Ilustrarte 2005" (Barreiro - Portogallo), "Illustrare Andersen" (Bologna, 2005), "Figures Futures 2006", "Alice e Peter" (Salon du Livre et de la Presse Jeunesse – Montreuil). Nel 2007 è stata fra i 27 illustratori selezionati per la prima mostra internazionale del Blue Book Group, a Teheran. Nel 2005, ha vinto il premio di illustrazione "Calabria Incantata". Con Topipittori ha pubblicato, Il signor nessuno (2008), L'angelo delle scarpe (2009) e I Cigni selvatici di H. C. Andersen (nella traduzione di Maria Giacobbe, 2011).

Ci sono diversi modi di avvicinarsi al senso del Natale. La condivisone della lettura, dai testi sacri a quelli della tradizione, è uno di questi. Due titoli, appena pubblicati dalla casa editrice Topipittori, vanno ad arricchire quello scaffale della biblioteca dell'insolito che piace a me.

Il primo, I Pani d'Oro della Vecchina è una fiaba di origine romanì che Annamaria Gozzi, esperta di fiabe, ha reinterpetato restituendocela in una trascrizione letteraria davvero di valore.

Trovo che tra i pregi di questo libro ci sia quello di favorire la conoscenza di diverse etnie, che solo semplificando possiamo riunire sotto il nome romanì, della cui provenienza, insieme alle tradizioni, usi e valori, sappiamo davvero poco.

I romanì eccellono nella tradizione orale, patrimonio dei popoli nomadi.
Nei loro viaggi hanno mescolato la tradizione dei paesi di provenienza e di quelli che li hanno accolti. Ma per comprendere il valore di questa grande trazione dobbiamo prima chiederci: qual'è realmente la loro origine prima? Da dove vengono? Questa domanda, che sembra banale, per secoli in realtà è rimasta senza risposta e proprio grazie alla loro lingua, il romanì, si è riusciti a risalire alle loro origini.

Quando i romanì  arrivarono in Europa si pensò fosse l'Egitto la terra da dove provenivano. Nella seconda metà del XVIII secolo, alcuni studiosi notarono analogie del romanì con il sanscrito, e più direttamente con la lingua indiana del Punjab e del Rajasthan. Fu così accertato che i romanì, più di mille anni fa, avevano abbandonato l'India, probabilmente in seguito a carestie e che, dopo un periodo di tempo relativamente breve trascorso in Medio Oriente, erano emigrati in massa da est a ovest, verso l'Europa, dove approdavano a metà del Trecento.

Perché vi scrivo questo? Per dirvi, ancora una volta, di quanto il genere fiabesco sia il genere letterario che più di ogni altro favorisce quella che oggi chiamiamo l'"integrazione multiculturale" e che una volta si diceva la convivenza tra i popoli, un'idea che proposta in occasione del Natale mi interessa in modo particolare, inoltre, e per lo stesso motivo, il termine «rom» significa semplicemnte «uomo», «essere umano».

La fiaba, dunque, dicevamo, appartiene in nuce alla tradizione romanì, nella duplice veste: quella d'origine e quella di appartenenza territoriale. Di quella d'origine mantiene la fascinazione di quella indiana, terra fiabesca per eccellenza; delle terre d'accoglienza la derivazione europea. Nelle fiabe romanì i piani temporali sono continuamente spostati o contrapposti, non è l'ordine cronologico a svilupparne la trama, così come vi è un'interrelazione quasi sempre presente tra il mondo terreno e ultraterreno. La morte, attesa, beffeggiata, vinta, accolta come fine ultimo del racconto è uno dei temi portanti.
Seppur l'origine delle fiabe è anche qui popolare, il lieto fine non è la determinante dell'esito del racconto.

Ho incontrato, in passato due versioni simili de I Pani d'Oro della Vecchina: una, la più vicina, La vecchina che ingannò la Morte, di derivazione ungherese, nella raccolta Enciclopedia della favola di Gianni Rodari (Editori Riuniti, Roma, 2002); l'altra, Lo zingaro e la morte, di derivazione russa, nella raccolta Fiabe Zingare di Wiernicki (Rusconi libri, Milano, 1995). 
Gli editori raccontano della genesi di questo libro, e molto altro, qui.


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

La vecchina pensava che la Morte si fosse dimenticata di lei. Ma un giorno, verso Natale, alla porta della casa bislacca, bussa un’ospite inattesa: un’Ombra Scura che vorrebbe portarsela via. Ma, niente da fare: la sopraffina pasticcera deve preparare i dolci di Natale, che nessuno sa fare meglio di lei. L’Ombra si indispettisce, poi però ne assaggia uno, poi un altro... E si accorge di non aver mai provato niente di simile. 


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Il sapore dolce e speziato scompigliò la Morte, il pane sapeva tanto di Vita. Ma lei si era spinta fin lì solo per fare il suo dovere, perciò, dopo aver leccato anche l'ultima traccia di zucchero, si preparò a riempire il sacco.
Per la vecchina, però, non era ancora il tempo di lasciare la cucina.
«Solo un ultimo momento. Tolgo le mandorle dal forno altrimenti bruceranno». E con momenti veloci estrasse un vassoio bollente colmo di mandorle e nocciole.
Ancora un po' stordita, la Morte socchiuse appena gli occhi e lasciò che quel gusto di frutta abbrustolita le entrasse nelle narici così che la pelle vuota del viso si gonfiò un pochino.
Divertita, la vecchina le offrì una mandorla ambrata e bollente. «Squisita,» disse la Morte masticando «Ma non mi farò incantare un'altra volta, ormai il tuo Pane Dolce l'ho mangiato. Non perderò altro tempo. Vieni con me. Adesso». © Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz, op. cit., Topipittori, 2012.

Il Pane dolce, i torroni, il croccante alle noci, le caramelle di sesamo e miele, le castagne glassate, i mandarini... la descrizione delle leccornie che la Vecchina prepara per i bambini è magistrale, vera e a me molto cara.

Dovete sapere che a casa mia i preparativi per il Natale cominciavano a novembre. Meglio, nello specifico, al piano secondo di casa mia, mia nonna Giulietta era una maestra di quello cha da noi si chiama Pane di Natale. Al piano primo, mia nonna Enza era laureata in tortellini e tortelli, dolci e fritti e al forno con la marmellata, e torta all'amaretto. Ora, io e mia sorella, anzi in ordine di età prima mia sorella e poi io, avevamo i pomeriggi precettati per le preparazioni. Tenete conto che donare un dolce, era un gesto di affetto intimo e molto gradito al tempo e i regali erano la concretizzazione di un pensiero e di un tempo dedicato prima di altro, anche per via dei soldini. Preparare il Pane di Natale era un'esperienza complessa, fatta di piccoli gesti e ingredienti dosati a memoria. Una volta pronto veniva messo nel forno che troneggiava in solaio e che era stato un regalo dei nozze fatto ai miei genitori. Ora, poiché la sordità di mia nonna, ricordo della "Spagnola", non le permetteva di sentire lo squillante campanello che sanciva la fine della cottura, e se avete vissuto con una persona sorda sapete quanto la sua sensibilità si fidi poco delle orecchie altrui, il compito che per anni mi fu affidato era quello di stare seduta di fianco al forno a vegliare sul punto di rossore giusto che avvolgeva il Pane di Natale. Lo facevo con berretto, guanti e libro alla mano. Dio solo sa quanto ho letto in quei giorni. Al piano di sotto, invece, la cottura delle prelibatezze al forno avveniva nella "Petronilla", prodigioso marchingegno attaccato alla presa elettrica in grado di sfornare cose eccelse, sprovvista però di qualsiasi mezzo di avviso che non fosse una rotonda finestrella posta in cima al coperchio che la sovrastava. Anche lì, provvista invece de I Quindici, bibbia infantile di mia nonna Enza, ero l'addetta che vegliava lo spioncino della cottura. Così per me, ogni anno, nonostante il tempo passato, i libri che leggo in questo periodo sanno ancora quel profumo lì: di solaio, di saba, di Pane di Natale, di Sassolino e di Quindici, che non so i vostri ma i miei conservano ancora un odore inconfondibile che neanche lo sbattimento del terremoto gli ha portato via.

Per dirvi che, come scrive Annamaria Gozzi, i dolci di Natale sanno più di ogni altro, di Vita. E in questo racconto, dalla perfezione circolare, la Vita e la Morte si incontrano e  si fondono nel giorno di Natale in quella perfetta consonanza che non lascia posto alla tristezza ma a un profondo senso di compimento di qualcosa di più grande che avviene sotto gli occhi dell'infanzia. Tutto questo non sarebbe stato possibile in questo libro senza il lirismo offerto dalle indimenticabili illustrazioni di Violeta Lopiz, qui visibilmente ispirata.


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Anche Una stella nel buio è un racconto di Natale, tangenziale se volete, ma per molti motivi è così. Uno di questi, il più semplice, ma è un regalo e ve lo dico subito, è il racconto che fanno qui i Topipittori, una chicca per gli appassionati di illustrazione e di Joanna Concejo, del ricevimento avvenuto lo scorso anno giusto in questo periodo della Moleskine di Joanna contenente il lavoro preparatorio delle illustrazioni del libro. Un  vero gioiello.


Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012


L'altro, il più profondo, è il racconto che Lucia Tumiati fa di un bambino speciale avvolto nel mistero. E il mistero, come bene scrivono qui  gli editori nel momento di proporne in forma sintetica la trama, è la vera anima del libro che può solo essere trovata tra le pagine di quello che è un incontro perfetto tra le immagini di Joanna e la lirica di Lucia.
Le illustrazioni di Joanna Concejo sono squarci, aperture su altri racconti altre memorie, sono dentro e fuori le pagine di questa storia, questo "libro". Non invadono mai il racconto, lo lambiscono, lo annotano, lo segnano con sottolineature, finestre per pensieri e visioni altre che attraversano l'atmosfera sospesa del racconto.


Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012


Due ragazzi si incontrano. Sono due pastori, in comune hanno molto: camminano scalzi, vivono in una catapecchia, hanno dei fratelli. Ma uno è strano, misterioso, inafferrabile e dolce, diverso da tutti gli altri. Sta sempre solo. Parla come non parla nessuno. E dice cose che vanno contro tutto ciò che gli adulti pensano e dicono. Al ragazzo più piccolo questo fa un po’ paura, però stare con quel ragazzo triste, pronto a difenderlo e ad aiutare gli altri, gli piace. Perché stare in due amici davanti alla luce della fiamma, è bello. Perché è bello che fra due ragazzi cresca una solidarietà semplice diretta che sembra nascere dalla terra e dal fuoco, dal silenzio e dalla paura. 


Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012
Nel rispetto del mistero, e degli editori, il brano scelto per presentarlo:
Il cielo è pieno di stelle, grandi stelle luminose che sembrano voler scendere sulla terra, a toccarci, a prenderci per mano. Credo che non esista al mondo un cielo stellato più splendente di questo nostro. Mi piacerebbe camminare nei sentieri, con una stella fra le mani, al posto della lanterna. I cammellieri certo sono guidati bene, nel deserto, da questo mare di stelle. Quando devo andare a controllare le bestie, per vedere se sono rientrate tutte nei recinti, per vedere che nessun animale da preda sia entrato fra di loro, mi piacerebbe che sui pali del mio piccolo regno ci fossero le stelle. Forse avrei meno paura. Anche perché spesso il vento mi spegne la lanterna e io devo camminare al buio, battendo con il bastone sui sassi, per riconoscere i passaggi, orientarmi, non battere contro gli alberi che mi si parano davanti.
Qualche volta ho visto muoversi delle persone, nel buio della notte. So che i lebbrosi preferiscono girare al buio, perché nessuno li veda, e nessuno giri la testa da una parte per lo schifo e la paura dei loro volti devastati. So che se incontro qualcuno posso bisbigliare uno “scialom” quasi a scongiurare un agguato. Per solito nessuno mi risponde, e le ombre scivolano via, misteriose. C'è tutto un mondo di persone che vivono di notte. Ci sono i viandanti, coloro che non chiedono l'elemosina ma si spostano di villaggio in villaggio, rubacchiando nei campi, chiedendo asilo a qualche pastore. Ci sono certi mercanti, che per paura di farsi vedere, di giorno, e di essere derubati, girano la notte, portano sacchi, spingono bestiame, ma foderano anche il bastone di stracci, perché battendo sui gropponi delle bestie non faccia rumore. Poi ci sono i ladri, e i loro occhi scintillano, nel buio, come lampi. Io dico scialom e stringo il bastone. Forse dalla voce essi si accorgono che sono un bambino e mi lasciano in pace. Una sola volta ho trovato un tale che mi ha preso a pedate nel sedere.«Va a casa, moccioso spione. Altro che scialom. Te lo do io uno scialom che te lo ricordi per un pezzo» e giù un calcio tremendo.
Ho perso la lanterna. È caduta per terra e si è rotta. Ho mollato il bastone e sono corso a casa, ficcandomi a letto senza dire niente a nessuno.Se le stelle fossero state sul mio sentiero, non si sarebbero rotte e forse mi avrebbero difeso. Ma un ragazzo non può avere una stella tutta per sé. O almeno così
credevo.
Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012


Ieri notte sono dovuto uscire per il solito giro di controllo. Arrivato alla curva, dove per solito incontro il mio amico triste, ho visto del chiarore, verso le rocce. Mi sono detto «vado o non vado a vedere cos'è? E se fosse un fuoco? Potrei avvertire i pastori, la gente. Potremmo fare in tempo a spegnerlo prima che devasti le messi che sono ancora nei campi».Sono avanzato piano, alzando la lanterna per allargare il giro della luce e vedere più lontano. Lui, il mio amico, era seduto in una grotta. Aveva acceso un piccolo fuoco, ed erano le scintille, i barbagli di quel fuocherello che si diffondevano nell'oscurità, facendo come tremare le ombre, tutto intorno.Lui era lì seduto, e si teneva le ginocchia abbracciate, il mento su di esse. Aveva un rotolo di pergamena, accanto, ma lui guardava il fuoco.Mi ha sentito arrivare e - sempre tenendo la testa sulle ginocchia - si è girato verso di me, guardandomi senza sorridere, attraverso le scintille.
«Ciao, ho avuto paura - gli ho detto ridendo - meno male che sei tu».«Paura? - mi ha chiesto - che cos'è la paura?»«Sembra che tu viva sulla luna e non sappia le cose più semplici. Paura è quando incontri qualcuno, di notte, e non sai se ti prenderà per il collo o ti lascerà tornare a casa sano e salvo».«Solo questo è paura?»«Ma no. Paura è tante cose. Non mi dirai che non sai cos'è la paura di buscarne da tuo padre, per esempio. O di non ritrovare la strada che ti riporta a casa o di fare brutta figura, quando il Rabbi ti chiede “la legge”».Lui mi guarda e sorride. Sembra che mi legga dentro, sembra che, mentre parlo, lui sappia già quello che sto per dirgli.Mette degli sterpi sul fuoco, che sfrigolano. È bello stare in due amici, davanti alla luce della fiamma. È bello avere degli incontri così, di notte. In realtà non occorrerebbe neppure parlare perché si forma una solidarietà, fra noi due, che sembra nascere dalla terra e dal fuoco, dal silenzio e dalla paura.
«Io non ho mai paura» mi dice, dopo molto tempo, e mi pare che stia confidandomi uno dei tanti, troppi suoi segreti. © Lucia Tumiati/Joanna Concejo, op. cit., Topipittori, 2012.

Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012

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